Ero ancora fuori da quella villa sperduta in mezzo alla campagna veneta, ancora avvolto nel mio completo un po’ funereo e nella nebbia che saliva dai campi, con la cravatta intorno al collo come una sciarpetta.
Ero nei pressi di una rotonda, ignaro persino in che provincia mi trovassi.
Il telefono squillò e mi confortò vedere il numero di Mick.
“Mick, ma dove siete?” chiesi.
“Siamo appena partiti da Mestre. Ci sentiamo tra mezz’ora?”
Sospirai. A volte pensavo che Pasha non sapesse bene cosa fosse un orologio. Viveva al ritmo delle stelle e delle stagioni.

Li aspettai camminando avanti e indietro.
I miei amici viaggiatori,
avventurosi, irresponsabili.
Era così che funzionava in quel villaggio globale
di couchsurfer e nomadi
si viveva alla giornata e ci si dava una mano.

E mentre tutti i miei amici erano sposati, ogni Tizio, Caio e Sempronio
io ero che camminavo intorno a una rotonda in mezzo alla nebbia
dopo essermi ridicolizzato davanti a tutti i miei conoscenti dei tempi dell’università
ad aspettare Pasha e la sua utilitaria con i freni rotti
e il bagagliaio pieno di bottiglie di plastica vuote.

Mi pareva che la rotonda fosse un giroscala russo
che io in quel mondo tra i mondi ci stessi vivendo ormai da anni.

Il cellulare mi vibrò in tasca e risposi senza nemmeno guardare:
“Mick, dove siete?”
“Hey, siamo arrivati. Dove sei tu?”
“Sono qui, non vi vedo. Siete arrivati all’indirizzo che vi ho dato? Vedete la villa?”
“Villa? No, qui non c’è nulla.” disse Mick, spedendomi un brivido lungo la schiena.
Poi il mio credito sul telefono finì, perché a ricevere chiamate da un numero estero i soldi li spendi pure te.

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